Dark zone è pronta a squarciare il silenzio della notte più oscura dell’anno, spalancando il portone per accogliere tutti i mostri che il buio lascerà libere di vagare invadendo i vostri incubi.
l’HORROR TOUR è iniziato!
Un DOLCETTO (book-trailer) e uno SCHERZETTO(estratto) per ogni autore per presentavi le loro spaventose creature fatte di carta, emozioni e inchiostro.
Martina Magni
BAGADA FELIX
DOLCETTO
SCHERZETTO
«E quindi lo fai perché pensi che sia più bella di te?»
«Non lo penso, lo è. Tutti lo dicono, quindi deve essere vero.»
Felix scosse la testa. Sedeva sul letto di sua cugina Angela, in una camera che gli ricordava tanto i suoi Anni Novanta, piena di poster di gente famosa e foto di gente che invece non sarebbe mai uscita da Palermo.
Angela, sedici anni, obesa e di bassa statura, era invece seduta per terra e stava finendo di svuotare con un cucchiaio affilato la gambe di sua sorella Alessia, di anni quindici e chili quarantadue. L’aveva svuotata tutta, sangue ossa e ciccia, ammucchiati adesso vicino al letto, come l’offerta speciale di una lugubre macelleria.
Finito il lavoro, Angela si tolse il sudore dalla fronte brufolosa e ci lasciò una strisciata rossa di sangue, quindi si alzò e prese il resto molliccio della sorella per i bei capelli biondi. Il sacco di pelle vuota penzolava disgustosamente, ma era intatto. Angela tolse le scarpe e ci infilò prima un piede e poi l’altro, come se stesse indossando una tuta da sub.
Felix aggrottò le sopracciglia
«Angela, promettimi che quando ti sveglierai penserai seriamente a iniziare una terapia», le disse.
«Fatti i cazzi tuoi, fallito», grugnì lei, sistemandosi le dita dentro il guanto umano.
Lucia Guglielminetti
VERSUS
DOLCETTO
SCHERZETTO
Una camera d’albergo a Bordeaux, durante il tour dei Rip n’Tear. In realtà non è importante il dove, ma il come. Anche un luogo apparentemente innocuo come una stanza d’hotel può assumere una connotazione spaventosa…
Verso mezzanotte (Johnny) salì in camera, da solo, e accese la televisione, tentando di ignorare i gemiti, i rantoli e gli scricchiolii provenienti dalla camera di Mitch. Trovò un canale che trasmetteva L’Esorcista in lingua originale. Gli piacevano i film dell’orrore, specie i classici come quello.
Al di là dello schermo, il letto di Regan cominciò a ballare. Lui sghignazzò, ma per poco. Ben presto anche il suo prese a sussultare. Fu come ritrovarsi faccia a faccia col maniaco che speravi di aver seminato. Mentre Regan urlava e chiamava la madre, Johnny si buttò a terra, con il cuore che batteva all’impazzata. All’improvviso aveva la bocca arida, la gola come foderata di carta vetrata.
Il letto si era fermato.
Miriam Palombi
MISERI RESTI SEPOLTI
DOLCETTO
SCHERZETTO
Non dopo la volta in cui ti hanno lasciato nudo negli spogliatoi e hanno scritto con un pennarello nero quella parola sulla tua schiena.
“Verme.”
Ma ora è diverso, puoi entrare senza che nessuno ti veda. Puoi sbirciare le gambe di Sara sotto il gonnellino, mentre agita i pon pon imitando le cheerleaders americane, e contemplare i suoi seni ballare sotto il pullover, anche se non hai mai avuto il coraggio di rivolgerle la parola.
Senti le urla sgraziate, osservi quei visi rossi congestionati, li vedi saltellare sugli spalti come tanti capponi cui stanno per tirare il collo e capisci che non sei come loro. Non lo saresti mai stato. Ma ora sei qualcosa di più.
Ti muovi incorporeo, sfiori i capelli delle ragazze profumati di camomilla e lavanda, come la biancheria di pizzo «san gallo» della nonna ancora sistemata nei cassetti.
È il momento. Si sente il fischio d’inizio riecheggiare forte, la partita è appena iniziata e tutti sono distratti dal suono ritmico della palla sul parquet in attesa di andare a canestro.
Sai cosa fare. Il quadro elettrico si trova proprio davanti a te; è una scatola di metallo blu acceso. Te l’ha indicata Ezio, il custode, quella volta che sei stato punito. Ti sei dovuto fermare a fare le pulizie per aver cavato un occhio al gatto della preside Mariani.
Apri lo sportello. Un groviglio di fili elettrici fuoriesce dal muro.
Ti basta concentrarti e una pioggia di faville azzurrine si propaga lungo la matassa di fili che, come capelli bruciati, riempirono l’aria di un fumo acre
Giacomo Ferraiuolo
NORA
DOLCETTO
SCHERZETTO
Ci stiamo bagnando e ci ammaleremo, mamma! Perché non ci rispondi ? Sei sempre stata così cattiva con noi ! Solo lui hai voluto accettare tra le tue braccia e noi ? Sbattuti fuori, a guardarvi!
Una sensazione calda iniziò a salirle dai piedi. Sentiva i muscoli sciogliersi e le ossa liquefarsi. Scivolò in ginocchio. Le forze la stavano abbandonando e una paura ancestrale l’avvinghiò, stritolandola in una morsa di terrore e ansia. Anche i polmoni smisero di pompare aria e Nora aprì la bocca alla ricerca di un po’ ossigeno.
Maaaaammmmaaaaaaa ! Vieni a prenderci ! Dacci amore, vogliamo anche noi avere un nome !
Nora urlò, si portò le mani alle orecchie per cacciar via quelle voci e provò ad alzarsi. Le gambe non risposero al comando. Strisciò sul pavimento freddo, afferrando le fughe delle mattonelle come appigli per portare avanti il corpo immobile. Carne fredda e ossa d’avorio cariche di paura. Il riflesso della finestra scomparve e il cono di luce flebile svanì. Qualcosa si stagliava oltre il vetro, sotto la pioggia battente. Qualcosa che batté le mani sulla finestra, provando a scardinarla. Un suono sinistro e disperato le esplose nelle orecchie. Nora urlò di terrore e continuò a strisciare verso la sua camera da letto. « Basta smettila! » urlò. Ma quelle mani continuavano a battere e la finestra tremava. « Bastaaaaa ! »
Giuseppe Calzi
MAI PIÙ’ SENZA
DOLCETTO
SCHERZETTO
L’orina iniziò finalmente a zampillare.
Greg poggiò la fronte al braccio disteso con il quale si reggeva alla parete e il tessuto della camicia gli deterse la fronte imperlata.
Là sotto, il getto per un attimo si arrestò, poi riprese con vigore.
Cominciava ad avvertire uno strano senso di claustrofobia, un fenomeno del quale non aveva mai e poi mai sofferto. Sembrava che il torace gli venisse compresso da un’enorme mano invisibile nell’atto di serrarsi lentamente a pugno.
Inspirò a fondo, cercando di raccogliere quanta più aria gli fosse possibile; fu attraversato nello stesso tempo da un leggero senso di sollievo e da una sensazione profonda e quasi straziante, che gli urlava di andarsene, di portare all’istante le chiappe fuori da lì.
Altro sudore gli bagnò il viso.
Rimase immobile, quasi ipnotizzato da quello stato di latente claustrofobia.
Vattene, corri, non esitare… non un minuto di più…
Non se ne andò, non corse via ed esitò in quella posizione a lungo, probabilmente per qualche minuto. La vescica si era svuotata, ma ora non importava nulla. Continuava a sudare, inspirava ed espirava a ritmo irregolare, con difficoltà. Quel locale gli dava l’impressione di essere delle dimensioni di un minuscolo ripostiglio, un piccolo fazzoletto nel quale soffocare.
Vattene…
Sapeva benissimo che non avrebbe dovuto voltarsi.
Corri e non esitare!
Poco lontano da dove si trovava, sopra ai due piccoli lavandini, c’era lo specchio. E non doveva voltarsi.
Non un minuto di più. Per Dio, non un minuto di più.
Non riordinò pantaloni e camicia, ma con il volto ormai madido di sudore spostò il peso da una gamba all’altra, tenendo il capo chino, e lasciò l’appoggio del muro.
Alle sue spalle si trovava lo specchio.
Lentamente iniziò a voltarsi. Tra l’orinatoio e i lavandini ci dovevano essere non meno di cinque metri, eppure mentre si voltava sentiva la certezza di essere a un nonnulla dallo specchio, come se per incanto quella distanza si fosse dissolta, come se non si trovasse nei bagni del Chrysler Perkins Saloon, bensì in una scatola sempre più compressa.
Continuava a sudare, eppure cominciò anche ad avvertire un principio di brivido corrergli lungo la schiena.
Il senso di claustrofobia non accennava ad allentare la sua invisibile ed energica presa. Ora era davvero a pochi passi dallo specchio e dai lavandini, ma non ricordava di aver coperto quella distanza. Si appoggiò con entrambe le mani a uno dei lavabi e sollevò lo sguardo.
Ed eccolo.
Nello specchio vide il riflesso del suo volto, ma non aveva nulla di umano. La pelle sul lato sinistro era sciupata, pallida, quasi ingiallita come pergamena e accartocciata in prossimità degli angoli degli occhi e della bocca. Vicino all’attaccatura dell’orecchio pareva invece tirata, lucida e quasi gonfia; dava l’impressione che da un momento all’altro potesse lacerarsi e lasciare fuoriuscire del pus. Del lato destro della faccia rimaneva ben poco di riconoscibile. Uno squarcio si apriva dove avrebbe dovuto trovarsi la guancia e dalla lacerazione affioravano i tendini sfilacciati. Un rivolo di sangue scuro e denso, nel quale si mischiava del pus giallastro, gli scorreva da quell’enorme menomazione giù per il mento, via via lungo il collo, raggrumandosi poco oltre il colletto sbottonato. Da quel lato del viso l’occhio aveva perso la sua normale conformazione e sporgeva dall’orbita, come l’occhio di una persona che fosse sul punto di morire per asfissia. I capelli su tutto il cranio erano lunghi, ma sottilissimi e radi, tanto che sulla cute erano ben visibili ampi spazi vuoti. Eppure conservavano un colore castano, sebbene opaco.
Greg era consapevole di ciò che avrebbe trovato specchiato lì di fronte, come sapeva benissimo che nonostante le riflessioni di quella vocina che gli giungeva da dentro
vattene, corri, non esitare… non un minuto di più…
non poteva fare a meno di guardare, non poteva evitare di fissare quella parte di se stesso.
La sua immagine riflessa lo fissava con quegli occhi privi di vita, ma nello stesso tempo profondi, ripugnanti, da togliere il fiato.
Ma non solo. Erano occhi imploranti.
A me non resta che augurarvi una tremante e orrorifica buona visione e lettura!