Guatemala, anni Cinquanta. Il Paese è diviso tra violenza di Stato e guerriglia.
Su un’altura, circondata da vulcani, la Casa de la Abeja cela la vita e i segreti di chi ci vive.
Una storia forte e toccante quella raccontata da Maria Laura Caroniti nel suo romanzo “La Casa de la Abeja”
Diamo il benvenuto alla nostra ospite.
Ciao Maria Laura, benvenuta! Quale bevanda associ al tuo romanzo e perché?
Mezcal, perché restituisce appieno le atmosfere dei luoghi del romanzo e perché viene citato esplicitamente in un passaggio.
Da dove prendi ispirazione per i tuoi scritti?
Le storie mi esplodono in mente: alcune nell’impatto si disintegrano, altre restano; se perdurano vuol dire che vogliono essere raccontate. E allora faccio un respiro profondo e le accontento.
Sei una scrittrice metodica o impulsiva?
Sono piuttosto metodica e disciplinata. Carburo lenta, ma una volta che inizio un progetto cerco di prestargli la massima attenzione.
Ci sono nuovi progetti per il futuro?
A brevissimo uscirà “Madre Medusa”, un romanzo di narrativa letteraria che sarà pubblicato da Mursia, la casa editrice con la quale ho esordito nel 2018.
Scegli una colonna sonora per il tuo romanzo.
“Gracias a la vida” di Violeta Parra, ma cantata da un bravissimo cantautore siciliano, expat come me, Pippo Pollina:
Non mi resta che ringraziare Laura per la disponibilità e lasciarvi un estratto del suo romanzo e il mio commento a quest’ultimo!
Estratto
“Intanto le settimane passavano e Goyto non le aveva fatto avere sue notizie. Non sapeva che reazione avrebbe avuto, rivedendolo.
L’avrebbe ignorato come gli altri. Forse si sarebbe chiusa in camera, aspettando che la pregasse di uscire. Di sicuro non l’avrebbe accontentato facilmente.
Ogni giorno immaginava cosa sarebbe successo : era facile che Goyto diventasse un pensiero ricorrente in quelle circostanze.
Non parlava con nessuno, non raggiungeva Marcelo e sua madre a tavola, riceveva i pasti dietro la porta. Conduceva una vita da esclusa e reclusa, ma aveva ripreso a disegnare, mettendo insieme il materiale rimasto.
Le notti erano tarlate d’incubi, alcuni peggiori di altri e,
quando anche la voglia di dormire passava, si alzava andandosi ad accucciare nell’angolo, spalle al muro e fogli in mano.
Poteva reggere la stanchezza, i fantasmi no.
Ma quando Goyto era tornato, non aveva inscenato nulla.
Aveva sentito la sua voce da dietro la porta e, in quel preciso momento, si era precipitata fuori, attraversando il corridoio di corsa. E lui era lì, ancora in piedi, in uniforme.
Vitalba si era bloccata di colpo, pentendosi. Negli ultimi
mesi si era convinta che farsi desiderare sarebbe stato l’acconto da imporre a Goyto per il suo silenzio e, ora, eccola lì a elemosinare attenzione. Aveva fatto un passo indietro, ma lui l’aveva vista. E aveva fatto l’unica cosa che Vitalba aveva sperato facesse : aveva aperto le braccia, sorridendole. Nessuna espressione costruita, o troppo sicura di sé.
E lei era corsa da lui, stringendolo e lasciandosi stringere in un abbraccio che aveva cercato ogni notte da quando aveva rimesso piede là dentro. Gli aveva schiacciato le labbra sul collo, con il battito cardiaco così accelerato da essere sicura che anche lui riuscisse a sentirlo.
Goyto si era staccato quel tanto che bastava per guardarla in viso, le mani ora strette sulle sue braccia, ora a carezzarle le guance.
«Quanto ti ci vuole per preparare le tue cose?» le aveva
domandato con voce arrochita.
«Non vorrà ripartire, generale, è appena arrivato.»
La voce di Marcelo l’aveva riscossa e, soltanto allora, Vitalba aveva notato la barba non fatta da giorni, i capelli non tirati all’indietro, lo sguardo che non nascondeva la stanchezza. Aveva dovuto cambiare espressione, perché Goyto si era giustificato.
«Lo so, non sono in gran forma, ma vengo direttamente
dal campo. Fermarmi alla Ciudad significava perdere un altro giorno, e ripensandoci forse avrei dovuto rendermi presentabile e venirti a prendere domani.» Aveva contratto le labbra in un sorriso di scuse, ma non aveva smesso di accarezzarla.
«Cinque minuti» gli aveva risposto, senza distogliere lo
sguardo dal suo. «Cinque minuti e sono pronta.»
«Non dire sciocchezze, Vitalba» era intervenuta Miranda, ed era la prima volta che le parlava da quando aveva rimesso piede in casa, «è un’assurdità far rimettere in strada tuo marito. Dormite qui stanotte, ripartirete con calma domani.»
Ma Goyto aveva annuito senza voltarsi, negli occhi un desiderio che non avrebbe potuto celare ai presenti nemmeno se avesse voluto. «Torniamo a casa.» “
Il parere di Elena
Privo di défaillance, lo scritto è appassionante. L’autrice fa leva sull’empatia di chi legge e riesce a scardinare le porte di chi è solito fare spallucce di fronte a racconti come questo. Maria Laura Caroniti ha lavorato su un testo difficile, con uno spessore emotivo degno di nota, trattando la vicenda e i suoi personaggi con la massima attenzione. Dalle pagine traspare una cura quasi materna, che giunge al lettore e lo fa sentire cullato, malgrado il dolore che a volte fa capolino tra un capitolo e l’altro.