Daniele: Buongiorno a tutti e bentornati alle interviste Scemiserie. Ho oggi l’onore e il piacere di presentarvi una delle scrittrici più interessanti che abbia avuto modo d’incontrare. Un vero e proprio tornado di pensieri e ironia. Spero che possiate apprezzare le sue parole tanto quanto ho apprezzato io intervistarla. Ma ciancio alle bande e andiamo a cominciare.
Daniele: Benvenuta Federica, somma esperta di cultura anglofona, di gotico e scrittrice d’indubbia qualità. Oggi avrò il piacere e l’onore d’essere il tuo dottor Frankenstin e manipolare la tua abile mente. Si. Può. Fare. Ma bando ai tentativi di creare la vita, andiamo a cominciare parlando dei tuoi romanzi di casa Dark. Victorian Solstice ha, già nel titolo, un chiaro rimando a un’epoca ben precisa. Ti va di spiegarci cosa ti ha tanto affascinato di questo periodo storico?
Federica: Tu. Sei. Bellissimo.
Premesso ciò, è un piacere stare qui a farsi dissezionare il cervello da te. La Londra vittoriana mi ha sempre affascinato perché è uno scenario ricco di contradizioni. Dietro la facciata di adamantina perfezione morale e formale fortemente voluta dalla Regina Vittoria, brulicavano le infinite e inevitabili problematiche dei suoi sudditi, che sfociavano qui in mostruose discrepanze sociali, là in vere e proprie perversioni al di là di ogni misericordia. Aggiungiamo le atmosfere cupe e nebbiose tanto care al romanzo gotico e la bellezza agonizzante delle donne che assumevano arsenico per apparire più languide e febbricitanti et voilà.
D: In effetti, non si può dire che tutto ciò non abbia un fascino immenso. Proprio per rompere questa maschera civile, all’interno del romanzo hanno un ruolo importante sia un’indagine sia il rapporto tra i protagonisti. Cosa che apprezzo particolarmente. Come sei riuscita ad amalgamare questi due fattori senza che uno prendesse il sopravvento sull’altro?
F: Ho potuto avvalermi della collaborazione di Vittoria Corella, co-autrice della serie e grande appassionata dell’epoca vittoriana e della letteratura thriller e crime. Abbiamo voluto dare ai nostri due protagonisti una solida base storica sullo sfondo della quale muoversi, e spesso anche i casi che devono affrontare sono ispirati a veri fatti di cronaca. Poi, dal momento che entrambe apprezziamo che i personaggi siano veri, reali, è stato inevitabile che nel corso delle loro indagini emergessero sempre più dettagli sulla loro interiorità e i loro trascorsi (drammatici) e che questo li portasse ad avvicinarsi.
D: Parliamo un po’ di quelle atmosfere particolari, dove il reale sembra sconfinare appena nel soprannaturale, che si percepiscono nelle tue pagine. E stacchiamoci un po’ dal romanzo per concentrarci sul soprannaturale. Credi che esista qualcosa che va al di là del tangibile? Esseri millenari o anche solo un flusso di energia che permea tutte le cose?
F: Non parlerei di esseri, quanto del concetto di energia, di quel Tutto di cui ogni cosa è parte, e che assume di volta in volta forme differenti. In questa concezione dell’universo un po’ Taoista trovano spazio anche manifestazioni che travalicano l’umana comprensione. Personalmente ho sempre amato molto quella letteratura di ambientazione realistica, ma capace di aprire spiragli più o meno evidenti su altre realtà ineffabili. Quando riesco a emularne le suggestioni mi sento terribilmente soddisfatta.
D: Confesso d’aver sempre trovato affascinante l’idea che esseri soprannaturali si nascondano tra noi. Me li immagino spesso per la verità in modi anche strani, come i vampiri che lavorano all’Avis per avere sangue in maniera legale, i licantropi che si occupano della produzione di pellicce o le banshee che intraprendono piacevoli carriere come contralti. A tal proposito, credi sia possibile, in una società estremamente tecnologica come quella odierna, che il mistero sul soprannaturale continui a perpetrarsi?
F: Sì. Ne sono convinta. Anzi, forse nel mondo moderno è diventato ancora più facile per i ‘mostri’, o semplicemente per i ‘diversi’, per quelle creature che per loro stessa natura sono o sarebbero invisi ai comuni umani, nascondersi tra le pieghe del reale, ai confini di questo mondo frenetico e ansiolitico, fatto di apparenze e false priorità, così scevro di valori, grondante ipocrisia ed egoismo. Per loro è più facile passare inosservati perché molta gente non ha voglia né tempo di prestare attenzione agli altri, troppo concentrata nel proprio piccolo vissuto. Aggiungiamo anche l’incapacità imperante di cedere alla meraviglia, perfino all’orrore, abituati come siamo a orrori reali, che ormai ci lasciano quasi indifferenti. Sto portando avanti da anni un progetto, lo definiresti un Urban fantasy, che parla proprio di queste presenze apparentemente anonime che si muovono nel Mondo-di-Sopra, pur non facendone parte. E come potrai facilmente intuire un Mondo-di-Sopra prevede un Mondo-di-sotto che gli si contrapponga…
D: Davvero un concetto e una critica sociale splendida. Mi trovi molto d’accordo. Ogni volta che ho a che fare con te, ho il piacere di passare qualche minuto in compagnia di una donna dalla spiccata ironia. Giunge naturale chiedersi se prima o poi ti dedicherai anche alla stesura di un romanzo ironico oppure preferisci lasciare che una punta di questa natura traspaia all’interno di argomenti più seri.
F: Ti ringrazio per apprezzare la mia ironia, non tutti lo fanno. A volte mi prendono solo per scema. Mi piace scrivere cose divertenti, di quando in quando, di solito molto autobiografiche. Tipo brevi racconti in cui io sono una portinaia un po’ (tanto) frustrata alle prese con il condominio di personaggi profondamente ingrati, tutti strafigherrimi e con storie appassionanti. Per il resto mi piace regalare un po’ di ironia ad alcuni miei personaggi, giusto per alleggerire un po’ situazioni che altrimenti rischierebbero di essere davvero troppo pesanti. Per quanto ami far soffrire i miei personaggi e creare situazioni claustrofobiche e dolorose ai limiti del penale, sono una persona che cerca sempre di trovare un motivo per sorridere, anche nel dramma. Anche perché, come diceva mia nonna, se non c’è soluzione è inutile che dai la testa contro il muro, ti fai solo male alla testa.
D: Una donna molto saggia. Parliamo un po’ di attualità. Negli ultimi tempi si parla molto di censura e diritti, cosa che a volte assume fin troppo spesso connotazioni di scontro generazionale in cui i giovani sembrano rifiutare gli schemi tipici di un mondo politico che non sentono loro. Qual è la tua opinione in merito?
F: Meno male che era un’intervista scemiseria… Viviamo in un’epoca strana, piena di contraddizioni, proprio come la Londra vittoriana, ma meno affascinante e gotica. Credo ci sia un’immensa confusione che coinvolge un po’ tutti i livelli del vivere umano, dall’ideologia alla morale, passando per il concetto stesso di pietà e misericordia, che a mio avviso dovrebbe occupare un ruolo importante in una società civile. E questo avulso da qualsiasi contesto religioso, sia chiaro. In questo scenario diventa davvero difficile individuare il bene e il male, il giusto e lo sbagliato. Ci scandalizziamo per il bacio non consenziente di Biancaneve, mentre le ragazzine si prostituiscono per avere ricariche telefoniche e vestiti firmati. Puntiamo il dito contro le adozioni alle famiglie Arcobaleno, e intanto al turismo sessuale con prostitute minorenni e bambini si affiancano i giochi malati di certi mostri – non ho altro modo per definirli – nel Dark Web. Credo che il mondo abbia perso di vista le priorità, credo che l’ipocrisia abbia avvelenato il buonsenso. Censura e diritti avrebbero senso in un mondo che avesse senso, e il nostro lo ha perso già da un bel po’, come se un treno deragliato che continua a correre per inerzia, senza sapere bene in che direzione sta andando.
D: Anche se lo hai fatto nel senso più ampio di pietà, umanità e misericordia hai sfiorato il concetto d’amore di cui mi piacerebbe parlare con te. Anche perché nei tuoi romanzi vai ad analizzare proprio una casistica che, nemmeno troppo tempo fa, sarebbe stata passibile di censura. Personalmente credo che censurare qualsiasi tipo di amore sia un crimine contro l’umanità, ma vorrei avere il parere di chi, come te, ha scelto di parlarne apertamente.
F: Sono sempre stata dell’idea che l’amore non dovrebbe avere limiti o paletti di sorta. È contro la sua stessa natura averne. Non saprei nemmeno dirti da dove venga la mia predisposizione verso gli amori ‘diversi’. Fin da piccola non capivo perché certe persone, compresi i miei genitori, si scandalizzassero o trovassero risibili persone che amavano qualcuno del proprio stesso sesso. A me sembrava la cosa più normale del mondo. Poi crescendo ho capito tutte le implicazioni sociali e culturali, ma non ho cambiato idea. Nelle mie storie ci sono persone che si amano, anche contro le convenzioni e perfino le minacce che questo sentimento scatena intorno a loro. Ho dedicato una raccolta di racconti alla mia visione dell’amore in tutte le sue sfumature (più di 50, gne gne gne…) e l’ho legato a doppio filo con la mia passione per l’arte. Non credo sia un caso. Amore e arte sono l’ultimo baluardo della Bellezza nel mondo, l’ultimo brandello d’innocenza.
D: Assolutamente vero, tanto che spesso mi irritano quei romanzi che sono un inno alla violenza e alla mostruosità umana. E che ne pensi dell’erotismo? Gli antichi greci sostenevano che Eros e Thanatos fossero legati, che amore e morte fossero due facce della stessa medaglia. In tempi più recenti credo che il gotico in particolare ci si sia dedicato in ogni modo. Credi che esista un legame tra la pulsione di morte e la sfera sessuale?
F: In uno dei miei primi romanzi ho elaborato per bocca di un mio personaggio, Michele Corella, sicario al servizio di Cesare Borgia, la mia personale estetica del dolore, basata sul fatto che a certe persone la sofferenza doni moltissimo, che senza di essa la loro stessa esistenza non avrebbe alcun senso. In realtà secondo i greci Eros e Thanatos erano profondamente contrapposti fra loro: l’amore era considerato la forza capace di creare la vita; la morte era la fine e la distruzione della vita stessa. Ovviamente non c’è vita senza morte, quindi, sebbene opposti, questi due elementi sono destinati a essere legati. Poi ci ha pensato Freud a fare casino, identificando in Eros la pulsione di vita che domina ogni essere umano, e in Thanatos quella di morte, che si manifesta con la tendenza autodistruttiva. La letteratura gotica ha giocato sulla fascinazione della morte come contrapposizione alla vita, una contrapposizione che acquista una dimensione proibita e dunque molto eccitante. Dobbiamo sempre pensare che a leggere i romanzi gotici erano spesso fanciulle cresciute nella più totale ignoranza di certe pratiche, per le quali l’oscuro villain che insidiava l’immacolata virtù delle protagoniste dei suddetti romanzi era nello stesso tempo fonte di grande turbamento e di pensieri e pulsioni totalmente represse. La figura del vampiro nella letteratura di tardo Ottocento nasce proprio in questo contesto in cui occorreva mascherare la sessualità con parvenze pericolose, perfino mostruose, per non incorrere nella censura. Di fatto, il vampiro che si chinava sulla giovane vergine in camicia da notte era molto meno scandaloso di un uomo che facesse la stessa cosa. Poi dobbiamo considerare quanto la morte fosse protagonista nell’Inghilterra della Regina Vittoria. Lei, rimasta vedova dell’amatissimo marito, ha fatto della morte di lui il perno intorno a cui la sua vita ha continuato a ruotare per il resto dei suoi giorni, e in un certo senso questo ha influenzato i suoi sudditi, che però hanno elaborato una sorta di estetica della morte che ha condizionato letteratura e arte. E adesso mi fermo o mi devi piantare un paletto nel cuore tu.
D: No dai che prima devi scrivere con la Lucia Guglielminetti e riuscire a farmi piacere i vampiri. Momento di alta letteratura. Esiste un romanzo di un autore leggendario che vorresti avere scritto tu? Quale?
F: Più di uno, alas! Vorrei aver scritto Cime tempestose, con buona pace di Emily Bronte. Vorrei aver scritto La camera di sangue di Angela Carter, e Il ciclo della terra piatta di Tanith Lee. E vorrei aver scritto Vissi d’amore di Paola Capriolo. E invece…
D: Parlaci un po’ di te. Ci sono delle passioni, anche strane, che ti va di condividere con noi? So che hai un rapporto molto interessante coi rapaci.
F: Prima della pandemia collaboravo regolarmente con un falconiere vicino a Parma. Andavo là un paio di volte a settimana a fare addestramento con gufi e poiane di Harris e partecipavo agli spettacoli che lui faceva in giro. Mi manca molto e spero di tornare presto dai miei uccellacci. Per il resto niente di troppo strano. Ho praticato per molti anni i giochi di ruolo, sia da tavolo, sia dal vivo, e conservo un baule stracolmo di costumi stravaganti, che rimpiango moltissimo di non poter più indossare. Da giovane ho fatto teatro, ho cantato in un coro di musica rinascimentale e in una rock band tutta femminile (nello stesso periodo). Amavo anche fare foto artistiche nei cimiteri.
D: Ultimissima domanda. Nella vita meglio essere felici ma venire dimenticati o fare qualcosa che ci permetterà di essere ricordati per sempre pur vivendo immersi nel dolore?
F: Scherzi? Meglio la felicità, o quanto meno la serenità. La felicità è fatta di momenti, se fossimo felici ogni giorno della nostra vita non saremmo persone, ma ospiti d’onore (questa non è mia, viene da un film). Senza contare che non potremmo apprezzare la felicità se non passassimo anche attraverso il dolore.
Essere ricordati è un lusso che ci si costruisce vivendo, lasciando agli altri qualcosa che valga la pena ricordare. Non occorre fare chissà cosa. Mi è rimasto sempre impresso il fatto che, dopo la morte di mia mamma, ormai più di venti anni fa, nei mesi successivi mi capitava di incrociare gente che viveva nel nostro stesso quartiere, o che frequentava lo stesso supermercato, che mi faceva le condoglianze. Io nemmeno sapevo chi fossero, ma loro dicevano di ricordare molto bene mia madre, in particolare il suo sorriso e la sua gentilezza. Ecco, credo valga la pena essere ricordati per questo genere di cose.
D: Non potrei essere più d’accordo, ma d’altronde ho passato tutta l’intervista ad annuire così forte che potrei reinventarmi come ventilatore. Ti ringrazio tanto per essere stata con noi e aver condiviso parte del tuo mondo e del tuo pensiero. Molti spunti di riflessione sono stati davvero interessanti ed è sempre bello trovare qualcosa su cui riflettere.
Ringrazio anche tutti voi lettori per l’attenzione. Vi auguro una piacevole settimana e ci ritroviamo lunedì prossimo, sempre su questi teleschermi. Un abbraccio e occhio ai vampiri vittoriani screanzati.
Daniele